Intervista a Boosta su rave e dintorni



Sono contro la politi­ca del divieto. Lo sanno tutti, il proi­bizionismo produce effetti contrari a quelli desiderati. E allora perché ri­schiare di peggiorare la situazio­ne? »

Davide Dileo, in arte Boosta, è uno dei fondatori dei Sub­sonica. Per la band torinese suona le tastiere, fa la seconda voce di Sa­muel Umberto Romano, soprattutto partecipa alla composi­zione e alla produzione dei brani. Ma ha anche scritto due romanzi, di­retto un documentario ed è un produttore e de­ejay conteso dalle disco­teche di mezza Europa. «Non vado a un rave da molto tempo, saranno almeno 15 anni. E devo dire che all’epoca non erano così male. Era una scena musicale vivace e interes­sante. So che è passato molto tem­po e che le cose sono peggiorate, ma non vorrei parlare di come è di­ventato il mondo di queste feste im­provvisate e selvagge, perché in real­tà non lo conosco così bene. Mi pia­cerebbe parlare invece del contesto che c’è intorno e che in parte deter­mina le degenerazioni di cui si sta occupando la cronaca».

Ovvero?
«Mi riferisco alle leggi populiste sfornate da una classe dirigente mio­pe. È facile proibire ogni cosa per ac­contentare un elettorato che preva­lentemente passa la propria giorna­ta sdraiato sul divano. Ma con i di­vieti non si va da nessuna parte».

Si riferisce alle ordinanze che vietano l’alcol per i minorenni?
«Anche a quello, ma non solo. Parlo della sel­va burocratica inestrica­bile che rende impossi­bile qualsiasi attività culturale nelle nostre città. Oggi chi apre un locale per fare musica dal vivo o ha soldi della mafia da riciclare oppu­re è un deficiente. Del resto come si può pen­sarla diversamente se uscire la sera è diventato quasi un reato. Se lo fai evidentemente è a tuo rischio e pericolo perché è vero­simile che finirai in ospedale o peg­gio al cimitero. Per i ragazzi le scelte sono poche: sballarsi fino all’autodi­struzione oppure restare a casa. Le leggi bloccano e proibiscono, non puoi proporre o fare praticamente nulla, sei costretto a rinunciare. E magari a ferragosto finisci in un ra­ve illegale, forse perché non hai tan­te altre alternative».

Quando frequentava lei i rave c’erano alternative?
«A metà degli anni Novanta esi­stevano mille altri posti per ascolta­re musica o per fare qualcosa di inte­ressante. Oggi le leggi bloccano tut­to, e se anche riesci a organizzare qualcosa, vieni ostacolato in ogni modo».

Sì ma cosa c’entra questo con pseudo-feste dove la droga scorre come acqua corrente e la gente muore di overdose?
«Ormai io sono un padre di fami­glia di 35 anni (per la cronaca ha avuto due figlie dalla modella Fer­nanda Lessa ndr ) e faccio questo mestiere di musicista e dj da quan­do ne avevo 20. Ed ho capito che non si ottiene alcun risultato incul­cando paura o proclamando divieti. Ghettizzare ed etichettare come ne­gativo il popolo della notte, anche quello estremo dei raver, per me non porta da nessuna parte. Interro­ghiamoci invece sui bisogni dei ra­gazzi e su come sarebbe possibile educare i loro gusti».

E come si fa?
«Magari offrendogli alternative valide. A Zurigo c’è l’esempio straor­dinario della Street Parade. Un milio­ne di persone che ballano e si diver­tono, sorvegliati dalla polizia e dalle istituzioni. Non è mai successo nul­la di male. È una questione di rispet­to reciproco, molto spesso basta questo».

fonte: corriere

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